’68

Sono passati quarant’anni da una delle stagioni più amate e controverse della storia recente e un pò tutti,  dai giornalisti, agli scrittori, ai commentatori, più o meno titolati,  stanno celebrando il fatal anno. Qui su Vendittando ci proviamo anche noi, recuperando un articolo del 2005 de "Il corriere della sera" dove Antonello racconta il  suo ’68 e parla di politica e di ricordi.  Inoltre a seguire riportiamo una breve analisi delle canzoni di Venditti sul tema…
 
 
LE CANZONI DI ANTONELLO SUL ’68
di Stefano Solegemello

(….) In "Sotto il segno dei pesci", 1978, Antonello parla di un’intera generazione, quella sessantottina.
E’ significativo che il brano esca proprio dieci anni dopo il famoso ’68. La canzone si apre con le immagini di una manifestazione "Ti ricordi quella strada, eravamo io e te, e la gente che correva e gridava insieme a noi, tutto quel che voglio pensavo, è solamente amore..", e prosegue con l’analisi di alcuni personaggi a  cui la vita , finiti i miti rivoluzionari, riserba un presente non esaltante.
Altro episodio è "Il compleanno di Cristina",  canzone che inizia esattamente come "Sotto il segno dei pesci" (l’immagine del corteo) e poi descrive la vita di quegli stessi "contestatori" a vent’anni di distanza: nel frattempo è il 1988.
"Noi", dell’album "Benvenuti in paradiso", riprende ancora il discorso sulla generazione del ’68 e ancora una volta vince la disillusione : "noi sotto il segno dei pesci noi…noi che sognavamo ad occhi aperti, adesso siamo i perdenti noi…";

(….) Una canzone dove sentimento e politica si "danno la mano" è "Qui"(1984), ma questa volta  protagonista è il sentimento tra un uomo e una donna.
Qualcuno può pensare che parlare d’amore, inteso come amore di coppia,  sia un "tema basso", e un tema "commerciale". Non lo nego, spesso è così, e la canzone italiana è piena di canzoni futili e ultra-leggere (nelle quali è incappato lo stesso Venditti), eppure "Qui" è una canzone diversa.
E’ diversa perchè quando Antonello dice "e Paola prende la mia mano…", il fatidico incontro avviene davanti alla facoltà di Architettura, a Valle Giulia.
Sfondo di questo amore sono "gli anni caldi", le occupazioni, gli scontri; E’ come dire "noi occupavamo ma  non avevamo dimenticato che la vita è fatta anche di altro", non a caso "Qui" è pubblicata su un disco chiamato "Cuore".
Questa "politica-sentimento" è secondo me la chiave di volta più autentica per capire la produzione di Antonello Venditti. Ed ancora pensiamo alle tante canzoni dedicate alla scuola, da "Compagno di scuola"(1975), che descrive un clima di pre-contestazione (Antonello vive il suo sessantotto all’Università) e gli inevitabili cambiamenti che stanno per arrivare, a "Giulio Cesare"(1986) con quella "Giovine Italia" nera nera, a "Notte prima degli esami"(1984) con le sue notti polizia dove qualcuno è caduto. Fino alla recente "Fianco a fianco"(1999) che cerca di raccontare il clima solidale di quella stagione. Che quest’anno con l’8 ci regali un’altra canzone dedicata al tema?

Analisi del testo "QUI"(Cuore, 1984)
"ALBE CINESI DI SETA INDIANA…" di Marco Re

UN’ IMMAGINE METAFORICA PER DESCRIVERE UNA GENERAZIONE – QUELLA DEL ’68 APPUNTO – CHE POLITICAMENTE GUARDAVA AL "SOLE DELL’AVVENIRE" E AI PAESI COMUNISTI DELL’EST E CULTURALMENTE SI IMBEVEVA DELLE CONTRASTANTI PULSIONI CHE PROVENIVANO DAI DUE ESTREMI DEL GLOBO: LA CULTURA PSICHEDELICA AMERICANA E IL MISTICISMO ORIENTALE (LA SETA INDIANA…CHE PER ALTRO ERA DIVENTATA ANCHE MODA : LE RAGAZZE "HIPPIES", INDOSSAVANO AMPI FOULARD E GONNE LUNGHISSIME DI SETA INDIANA CON COLLANINE DI PERLINE ECC.)

Venditti: io, De Gregori e Veltroni quando Berlinguer era la speranza
«Il leader pci un vero socialista, triste Fassino che gli preferisce Craxi» «Destra e sinistra concetti insufficienti, dico sì al federalismo fiscale» «In Italia c’ è una calamita enorme che tenta di trascinarti da una parte all’ altra: si chiama politica ma è in fallimento»

Aldo Cazzullo,  Pagina 11
(27 marzo 2005) – Corriere della Sera

ROMA – «C’ è in Italia una calamita enorme, che tenta di trascinarti da una parte o dall’ altra. Una macchina tritatutto chiamata politica. Destra o sinistra? E’ una domanda insufficiente, una selezione primitiva, un modo inadeguato di rappresentare se stessi. Rivendico altre dimensioni: Nord e Sud, Est e Ovest. Rivendico di poter apprezzare idee della parte che non è la mia; ad esempio il federalismo fiscale, che consentirebbe finalmente di pagare le tasse volentieri. La politica oggi pare una curatela fallimentare: l’ obiettivo è perdere un po’ di meno. La società è anziana. Si riconferma il mandato a vita al Governatore della Banca d’ Italia, un anacronismo. La borghesia è in ozio, impoverita, ferma a un mito liberista coltivato da monopolisti, padroni assoluti di un mercato che non c’ è». E voi artisti, intellettuali, cantautori? «In questo casinò, in questo palio di Siena, in questa giostra rivendico di essere Antonio Venditti detto Antonello. E sono d’ accordo con De Gregori: siamo stanchi di essere usati dalla politica. Di cantare per le sorti altrui. La differenza tra noi è che Francesco è stato redento, mentre io non sono organico a nulla». Venditti parla di politica nel giardino della sua casa di Trastevere, in una pausa della trionfale tournée. Qualche mese fa, alla presentazione dell’ ultimo libro di Morucci La peggio gioventù, ha detto provocatoriamente che sarebbe potuto finire terrorista anche lui. «Perché la formazione è stata la stessa. La differenza è che io ho maturato un rifiuto totale della violenza, che è tuttora la mia bussola». La formazione di Venditti è legata al Giulio Cesare. «Un liceo di destra. Prima del ‘ 68, la politica la facevano i fascisti. Non ti lasciavano entrare a scuola e ti portavano di peso al corteo per Trieste libera. All’ università, un altro ambiente di destra, Giurisprudenza. Comandavano i nazisti: leggevano Evola e predicavano l’ autogestione, citavano Nietzsche e facevano il gatto selvaggio ai professori, scaraventandoli di peso giù dalla cattedra, tipo guardie rosse. Ricordo quando tirarono un banco sulla schiena a Scalzone; io ebbi un colpo d’ asta di bandiera tricolore sotto il mento. Ricordo Valle Giulia. Ci rifugiamo in mille all’ Accademia cinese, e da lì ci caliamo da un muro in strada. Dall’ altra parte ci aspetta la polizia e ci carica direttamente sui cellulari. Nessuno dà l’ allarme; prendono anche me. I celerini mirano con i manganelli alle giunture, il mio vicino ha il gomito spezzato; io mi salvo abbracciando un carabiniere, che mi protegge e mi porta in caserma. Esco a mezzanotte, con mio padre viceprefetto, tra i buu dei compagni». Entrò in un partito, in un gruppo? «No. Frequentavo i marxisti-leninisti, che mi respinsero. Suonavo, facevo mattina in piazza Navona, portavo i capelli lisci lunghi, tanto che mi chiamavano Toshiro, come Toshiro Mifune; ma questo anche perché quando si faceva a botte lanciavo grida altissime. Una sera mi dissero di non farmi più vedere. Ma ero sempre parte del movimento. Fino al giorno della visita di Nixon». Era il 28 settembre 1970. Cortei, scontri, fughe. «Mi nascondo in un bar. Un celerino mi scova e mi colpisce con una manganellata in fronte, guardi qui sulla tempia sinistra, ho ancora la cicatrice. Esco insanguinato e un amico, Marco Melotti, mi carica sulla sua 110 bianca targata Imperia, che fa da ambulanza del movimento. A bordo ci sono già altri sei o sette feriti. Marco si fa largo caricando i celerini e ci porta all’ università. Gli studenti hanno divelto tutti i sampietrini e steso cavi ad altezza d’ uomo per fermare i caroselli delle jeep. Io mi dico: basta. Ho scelto allora la nonviolenza. E mi sono sforzato di diventare comunista; anche se il Pci aveva ritmi lenti, era preistorico, lontano dai giovani, e legato all’ Urss, che noi detestavamo. Con De Gregori eravamo andati in Ungheria, e avevamo fatto pipì sui resti dei carri armati sovietici…». Ad aiutarlo a diventare comunista c’ era Berlinguer, cui nel ‘ 91 ha dedicato una canzone, Dolce Enrico. Una figura che i suoi coetanei (Venditti è del ‘ 49, come D’ Alema e Fassino) hanno ricordato in pagine affettuose, ma talora critiche: tra Craxi e Berlinguer, ha scritto Fassino, le ragioni della modernità erano dalla parte di Craxi. «E questa è una cosa triste. Ho stima di Fassino, è una persona perbene. Ma dovrebbe ricordare che Berlinguer fu il primo a prendere le distanze da Mosca, e anche l’ ultimo. Loro attesero la caduta del Muro per completare lo strappo. Io l’ avevo detto a Veltroni dieci anni prima, prendendo un caffè da Vezio, dietro Botteghe Oscure: guarda Walter che il Muro sta per crollare, perché voi miglioristi non andate via dal Pci oggi? Mi guardò con un misto di stupore e compatimento». Venditti non parla con ostilità dei capi diessini; non a caso continua a votare per loro. «Veltroni era il nostro piccolo Budda. Quello che avrebbe trasformato il Pci a nostra somiglianza: meno settario, lontano da Mosca, attento ai diritti civili. Quando Benigni prese in braccio Berlinguer, De Gregori e io eravamo dietro gli amplificatori con Veltroni. Parlavamo di cinema e musica, giocavamo a pallone. D’ Alema era diverso. Duro, freddo, ci pareva il più adatto a ricostruire l’ identità del partito, a dare al Paese regole certe in modo da poterlo anche consegnare alla destra. Ma è proprio su questo punto che D’ Alema ha fallito. La Bicamerale è servita solo a far rinascere Berlusconi». Fassino sbaglia perché «Berlinguer era un socialista, il vero partito socialista era il Pci. Il Psi era un partito craxiano. Craxiano era Berlusconi. Berlinguer sognava di fondere le due chiese, la cattolica e la comunista, i due grandi valori della carità e della solidarietà. Craxi impersonava il disvalore supremo, il potere fine a se stesso». Carità e solidarietà, racconta Venditti, corrispondono alle sue due anime. «Ho un’ anima laica. Ma non ho mai perso la mia anima cattolica. La prima canzone è dedicata a Sora Rosa, mia nonna, che in realtà si chiamava Margherita. Ogni domenica mi portava alla messa antelucana. Poi tornavo a casa, mi cambiavo, e andavo con i genitori alla messa borghese di mezzogiorno. Quindi la sera di nuovo a messa con la nonna. Nell’ intervallo componevo musica. Tutte le mie canzoni nascevano di domenica». Dice Venditti di avere «un senso religioso della vita. Sono curioso, ho dialogato e dialogo con tutti, con i giovani democristiani, con i ciellini. Credo nella solidarietà, che non è mai casuale ma politica, e si fa solo a chi la merita; ma credo anche nella carità, che significa vedere il Cristo negli altri. Purtroppo la carità è stata cancellata; anche la Chiesa fa solidarietà. Pure il Papa all’ inizio era più attento ai rapporti politici, essendo legato all’ esperienza di Solidarnosc. Oggi è diverso, una figura immensa. Wojtyla è quel che Cristo non è stato, vive quel che Cristo non ha conosciuto, la vecchiaia». «Amo cantare per qualcosa, non contro qualcuno. Per questo non ho partecipato alla mobilitazione dei girotondi». In un’ intervista del ‘ 92 Venditti previde la discesa in campo di Berlusconi. «Per tutti gli Anni Ottanta, gli anni di plastica, Berlusconi aveva lavorato all’ idea estetica dell’ italiano: l’ idea della Velina, di Colpo Grosso; degli occhiali scuri, della cravatta da portare fin da ragazzi. Anche oggi, è come se lui parlasse da una tv a colori, e tutti gli altri da una tv in bianco e nero. Penso ai servizi su Prodi: tutto è faticoso, precario; le luci casuali, da Tg3; anche il sole pare in bianco e nero. Nel ‘ 96 dietro Prodi c’ era una forza popolare enorme; il treno e la corriera contrapposti agli aerei e alle navi da crociera erano simboli di povertà concreta. Ora questo non paga più, ci vuole organizzazione». A sinistra Venditti riconosce doti di comunicatore a Bertinotti. «L’ ho conosciuto nel ‘ 98, subito dopo la rottura con Prodi, davanti a un hotel di Perugia, dove il giorno dopo dovevamo marciare per la pace. Stava discutendo con i diessini locali. Gli dissi solo: ma tu che cosa vuoi? Ne parlammo tutta la notte, sbirciando in tv la Ferrari al Gran Premio di Sepang. E sono stato forse l’ unico italiano a capire già allora cosa volesse Bertinotti». Nega che con De Gregori ci sia mai stata freddezza. «Il primo disco, Theorius Campus, l’ abbiamo fatto insieme. Poi Francesco ne ha inciso un altro con De André. Loro avevano un linguaggio più letterario, io andavo direttamente al cuore delle cose. E partecipavo alle lotte di persona, non solo con le canzoni; sfilando nei cortei, tenendo concerti in fabbrica. Per questo De Gregori e De André mi invidiavano e nel contempo mi disprezzavano. La vera amicizia con Fabrizio nacque dopo il suo sequestro, quando per tre mesi abbiamo registrato in due studi affiancati nel castello di Carimate, dove ora si fanno le prove dei reality-show: prima si suonava, poi si faceva mattina a parlare. L’ amicizia con Francesco dura da 35 anni, ed è l’ unica che coltivo con un collega. La pensiamo allo stesso modo, e di questi tempi ci sentiamo quasi tutti i giorni, andiamo al cinema e a mangiare la pizza. Siamo il lato A e il lato B della stessa canzone».
Aldo Cazzullo DAL PCI AI DS
Cazzullo Aldo
Pagina 11
(27 marzo 2005) – Corriere della Sera

Approfitto per segnalare l’archivio storico del Corriere, consultabile online dal 1992 in poi, da cui è stato estratto quest’articolo.

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